Noi siam di voglia a muoverci si pieni,
che restar non potem; pero perdona,
se villania nostra giustizia tieni.
che restar non potem; pero perdona,
se villania nostra giustizia tieni.
Dante - La Divina Commedia
Ogne forma sustanzial, che setta
e da matera ed e con lei unita,
specifica vertute ha in se colletta,
la qual sanza operar non e sentita,
ne si dimostra mai che per effetto,
come per verdi fronde in pianta vita.
Pero, la onde vegna lo 'ntelletto
de le prime notizie, omo non sape,
e de' primi appetibili l'affetto,
che sono in voi si come studio in ape
di far lo mele; e questa prima voglia
merto di lode o di biasmo non cape.
Or perche a questa ogn' altra si raccoglia,
innata v'e la virtu che consiglia,
e de l'assenso de' tener la soglia.
Quest' e 'l principio la onde si piglia
ragion di meritare in voi, secondo
che buoni e rei amori accoglie e viglia.
Color che ragionando andaro al fondo,
s'accorser d'esta innata libertate;
pero moralita lasciaro al mondo.
Onde, poniam che di necessitate
surga ogne amor che dentro a voi s'accende,
di ritenerlo e in voi la podestate.
La nobile virtu Beatrice intende
per lo libero arbitrio, e pero guarda
che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende>>.
La luna, quasi a mezza notte tarda,
facea le stelle a noi parer piu rade,
fatta com' un secchion che tuttor arda;
e correa contro 'l ciel per quelle strade
che 'l sole infiamma allor che quel da Roma
tra ' Sardi e ' Corsi il vede quando cade.
E quell' ombra gentil per cui si noma
Pietola piu che villa mantoana,
del mio carcar diposta avea la soma;
per ch'io, che la ragione aperta e piana
sovra le mie quistioni avea ricolta,
stava com' om che sonnolento vana.
Ma questa sonnolenza mi fu tolta
subitamente da gente che dopo
le nostre spalle a noi era gia volta.
E quale Ismeno gia vide e Asopo
lungo di se di notte furia e calca,
pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
cotal per quel giron suo passo falca,
per quel ch'io vidi di color, venendo,
cui buon volere e giusto amor cavalca.
Tosto fur sovr' a noi, perche correndo
si movea tutta quella turba magna;
e due dinanzi gridavan piangendo:
<<Maria corse con fretta a la montagna;
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
punse Marsilia e poi corse in Ispagna>>.
<<Ratto, ratto, che 'l tempo non si perda
per poco amor>>, gridavan li altri appresso,
<<che studio di ben far grazia rinverda>>.
<<O gente in cui fervore aguto adesso
ricompie forse negligenza e indugio
da voi per tepidezza in ben far messo,
questi che vive, e certo i' non vi bugio,
vuole andar su, pur che 'l sol ne riluca;
pero ne dite ond' e presso il pertugio>>.
Parole furon queste del mio duca;
e un di quelli spirti disse: <<Vieni
di retro a noi, e troverai la buca.
Noi siam di voglia a muoverci si pieni,
che restar non potem; pero perdona,
se villania nostra giustizia tieni.
Io fui abate in San Zeno a Verona
sotto lo 'mperio del buon Barbarossa,
di cui dolente ancor Milan ragiona.
E tale ha gia l'un pie dentro la fossa,
che tosto piangera quel monastero,
e tristo fia d'avere avuta possa;
perche suo figlio, mal del corpo intero,
e de la mente peggio, e che mal nacque,
ha posto in loco di suo pastor vero>>.
Io non so se piu disse o s'ei si tacque,
tant' era gia di la da noi trascorso;
ma questo intesi, e ritener mi piacque.
E quei che m'era ad ogne uopo soccorso
disse: <<Volgiti qua: vedine due
venir dando a l'accidia di morso>>.
Di retro a tutti dicean: <<Prima fue
morta la gente a cui il mar s'aperse,
che vedesse Iordan le rede sue.
E quella che l'affanno non sofferse
fino a la fine col figlio d'Anchise,
se stessa a vita sanza gloria offerse>>.
Poi quando fuor da noi tanto divise
quell' ombre, che veder piu non potiersi,
novo pensiero dentro a me si mise,
del qual piu altri nacquero e diversi;
e tanto d'uno in altro vaneggiai,
che li occhi per vaghezza ricopersi,
e 'l pensamento in sogno trasmutai.
Purgatorio ? Canto XIX
Ne l'ora che non puo 'l calor diurno
intepidar piu 'l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno
--quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in oriente, innanzi a l'alba,
surger per via che poco le sta bruna--,
mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i pie distorta,
con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava; e come 'l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
cosi lo sguardo mio le facea scorta
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d'ora, e lo smarrito volto,
com' amor vuol, cosi le colorava.
Poi ch'ell' avea 'l parlar cosi disciolto,
cominciava a cantar si, che con pena
da lei avrei mio intento rivolto.
<<Io son>>, cantava, <<io son dolce serena,
che ' marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s'ausa,
rado sen parte; si tutto l'appago! >>.
Ancor non era sua bocca richiusa,
quand' una donna apparve santa e presta
lunghesso me per far colei confusa.