Non era
camminata
di palagio
la 'v' eravam, ma natural burella
ch'avea mal suolo e di lume disagio.
la 'v' eravam, ma natural burella
ch'avea mal suolo e di lume disagio.
Dante - La Divina Commedia
Sotto ciascuna uscivan due grand' ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid' io mai cotali.
Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
si che tre venti si movean da ello:
quindi Cocito tutto s'aggelava.
Con sei occhi piangea, e per tre menti
gocciava 'l pianto e sanguinosa bava.
Da ogne bocca dirompea co' denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
si che tre ne facea cosi dolenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso 'l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla.
<<Quell' anima la su c'ha maggior pena>>,
disse 'l maestro, <<e Giuda Scariotto,
che 'l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
De li altri due c'hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo e Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto! ;
e l'altro e Cassio, che par si membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
e da partir, che tutto avem veduto>>.
Com' a lui piacque, il collo li avvinghiai;
ed el prese di tempo e loco poste,
e quando l'ali fuoro aperte assai,
appiglio se a le vellute coste;
di vello in vello giu discese poscia
tra 'l folto pelo e le gelate croste.
Quando noi fummo la dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l'anche,
lo duca, con fatica e con angoscia,
volse la testa ov' elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com' om che sale,
si che 'n inferno i' credea tornar anche.
<<Attienti ben, che per cotali scale>>,
disse 'l maestro, ansando com' uom lasso,
<<conviensi dipartir da tanto male>>.
Poi usci fuor per lo foro d'un sasso
e puose me in su l'orlo a sedere;
appresso porse a me l'accorto passo.
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com' io l'avea lasciato,
e vidili le gambe in su tenere;
e s'io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual e quel punto ch'io avea passato.
<<Levati su>>, disse 'l maestro, <<in piede:
la via e lunga e 'l cammino e malvagio,
e gia il sole a mezza terza riede>>.
Non era camminata di palagio
la 'v' eravam, ma natural burella
ch'avea mal suolo e di lume disagio.
<<Prima ch'io de l'abisso mi divella,
maestro mio>>, diss' io quando fui dritto,
<<a trarmi d'erro un poco mi favella:
ov' e la ghiaccia? e questi com' e fitto
si sottosopra? e come, in si poc' ora,
da sera a mane ha fatto il sol tragitto? >>.
Ed elli a me: <<Tu imagini ancora
d'esser di la dal centro, ov' io mi presi
al pel del vermo reo che 'l mondo fora.
Di la fosti cotanto quant' io scesi;
quand' io mi volsi, tu passasti 'l punto
al qual si traggon d'ogne parte i pesi.
E se' or sotto l'emisperio giunto
ch'e contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto
fu l'uom che nacque e visse sanza pecca;
tu hai i piedi in su picciola spera
che l'altra faccia fa de la Giudecca.
Qui e da man, quando di la e sera;
e questi, che ne fe scala col pelo,
fitto e ancora si come prim' era.
Da questa parte cadde giu dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
per paura di lui fe del mar velo,
e venne a l'emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lascio qui loco voto
quella ch'appar di qua, e su ricorse>>.
Luogo e la giu da Belzebu remoto
tanto quanto la tomba si distende,
che non per vista, ma per suono e noto
d'un ruscelletto che quivi discende
per la buca d'un sasso, ch'elli ha roso,
col corso ch'elli avvolge, e poco pende.
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d'alcun riposo,
salimmo su, el primo e io secondo,
tanto ch'i' vidi de le cose belle
che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
PURGATORIO
Purgatorio ? Canto I
Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a se mar si crudele;
e cantero di quel secondo regno
dove l'umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesi resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Caliope alquanto surga,
seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro
lo colpo tal, che disperar perdono.