Secondo che ci
affliggono
i disiri
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest' e la cagion di che tu miri>>.
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest' e la cagion di che tu miri>>.
Dante - La Divina Commedia
Poi comincio: <<Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die.
Sangue perfetto, che poi non si beve
da l'assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve,
prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch'a farsi quelle per le vene vane.
Ancor digesto, scende ov' e piu bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr' altrui sangue in natural vasello.
Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
l'un disposto a patire, e l'altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme;
e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
cio che per sua matera fe constare.
Anima fatta la virtute attiva
qual d'una pianta, in tanto differente,
che questa e in via e quella e gia a riva,
tanto ovra poi, che gia si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond' e semente.
Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtu ch'e dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende.
Ma come d'animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest' e tal punto,
che piu savio di te fe gia errante,
si che per sua dottrina fe disgiunto
da l'anima il possibile intelletto,
perche da lui non vide organo assunto.
Apri a la verita che viene il petto;
e sappi che, si tosto come al feto
l'articular del cerebro e perfetto,
lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant' arte di natura, e spira
spirito novo, di vertu repleto,
che cio che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
che vive e sente e se in se rigira.
E perche meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a l'omor che de la vite cola.
Quando Lachesis non ha piu del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l'umano e 'l divino:
l'altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto piu che prima agute.
Sanza restarsi, per se stessa cade
mirabilmente a l'una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade.
Tosto che loco li la circunscrive,
la virtu formativa raggia intorno
cosi e quanto ne le membra vive.
E come l'aere, quand' e ben piorno,
per l'altrui raggio che 'n se si reflette,
di diversi color diventa addorno;
cosi l'aere vicin quivi si mette
e in quella forma ch'e in lui suggella
virtualmente l'alma che ristette;
e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco la 'vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella.
Pero che quindi ha poscia sua paruta,
e chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta.
Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ' sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi.
Secondo che ci affliggono i disiri
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest' e la cagion di che tu miri>>.
E gia venuto a l'ultima tortura
s'era per noi, e volto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura.
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra;
ond' ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temea 'l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso.
Lo duca mio dicea: <<Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
pero ch'errar potrebbesi per poco>>.
'Summae Deus clementiae' nel seno
al grande ardore allora udi' cantando,
che di volger mi fe caler non meno;
e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch'io guardava a loro e a' miei passi
compartendo la vista a quando a quando.
Appresso il fine ch'a quell' inno fassi,
gridavano alto: 'Virum non cognosco';
indi ricominciavan l'inno bassi.
Finitolo, anco gridavano: <<Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tosco>>.
Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne.
E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che 'l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti
che la piaga da sezzo si ricuscia.
Purgatorio ? Canto XXVI
Mentre che si per l'orlo, uno innanzi altro,
ce n'andavamo, e spesso il buon maestro
diceami: <<Guarda: giovi ch'io ti scaltro>>;
feriami il sole in su l'omero destro,
che gia, raggiando, tutto l'occidente
mutava in bianco aspetto di cilestro;
e io facea con l'ombra piu rovente
parer la fiamma; e pur a tanto indizio
vidi molt' ombre, andando, poner mente.
Questa fu la cagion che diede inizio
loro a parlar di me; e cominciarsi
a dir: <<Colui non par corpo fittizio>>;
poi verso me, quanto potean farsi,
certi si fero, sempre con riguardo
di non uscir dove non fosser arsi.
<<O tu che vai, non per esser piu tardo,
ma forse reverente, a li altri dopo,
rispondi a me che 'n sete e 'n foco ardo.
Ne solo a me la tua risposta e uopo;
che tutti questi n'hanno maggior sete
che d'acqua fredda Indo o Etiopo.
Dinne com' e che fai di te parete
al sol, pur come tu non fossi ancora
di morte intrato dentro da la rete>>.
Si mi parlava un d'essi; e io mi fora
gia manifesto, s'io non fossi atteso
ad altra novita ch'apparve allora;
che per lo mezzo del cammino acceso
venne gente col viso incontro a questa,
la qual mi fece a rimirar sospeso.