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rispuose 'l savio mio, <
cio c'ha veduto pur con la mia rima,
non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa.
rispuose 'l savio mio, <
non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa.
Dante - La Divina Commedia
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;
non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
Non han si aspri sterpi ne si folti
quelle fiere selvagge che 'n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi colti.
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno.
Ali hanno late, e colli e visi umani,
pie con artigli, e pennuto 'l gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani.
E 'l buon maestro <<Prima che piu entre,
sappi che se' nel secondo girone>>,
mi comincio a dire, <<e sarai mentre
che tu verrai ne l'orribil sabbione.
Pero riguarda ben; si vederai
cose che torrien fede al mio sermone>>.
Io sentia d'ogne parte trarre guai
e non vedea persona che 'l facesse;
per ch'io tutto smarrito m'arrestai.
Cred' io ch'ei credette ch'io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
da gente che per noi si nascondesse.
Pero disse 'l maestro: <<Se tu tronchi
qualche fraschetta d'una d'este piante,
li pensier c'hai si faran tutti monchi>>.
Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e 'l tronco suo grido: <<Perche mi schiante? >>.
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricomincio a dir: <<Perche mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb' esser la tua man piu pia,
se state fossimo anime di serpi>>.
Come d'un stizzo verde ch'arso sia
da l'un de' capi, che da l'altro geme
e cigola per vento che va via,
si de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond' io lasciai la cima
cadere, e stetti come l'uom che teme.
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rispuose 'l savio mio, <
non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa.
Ma dilli chi tu fosti, si che 'n vece
d'alcun' ammenda tua fama rinfreschi
nel mondo su, dove tornar li lece>>.
E 'l tronco: <<Si col dolce dir m'adeschi,
ch'i' non posso tacere; e voi non gravi
perch' io un poco a ragionar m'inveschi.
Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, si soavi,
che dal secreto suo quasi ogn' uom tolsi;
fede portai al glorioso offizio,
tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi.
La meretrice che mai da l'ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio,
infiammo contra me li animi tutti;
e li 'nfiammati infiammar si Augusto,
che ' lieti onor tornaro in tristi lutti.
L'animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.
Per le nove radici d'esto legno
vi giuro che gia mai non ruppi fede
al mio segnor, che fu d'onor si degno.
E se di voi alcun nel mondo riede,
conforti la memoria mia, che giace
ancor del colpo che 'nvidia le diede>>.
Un poco attese, e poi <<Da ch'el si tace>>,
disse 'l poeta a me, <<non perder l'ora;
ma parla, e chiedi a lui, se piu ti piace>>.
Ond' io a lui: <<Domandal tu ancora
di quel che credi ch'a me satisfaccia;
ch'i' non potrei, tanta pieta m'accora>>.
Percio ricomincio: <<Se l'om ti faccia
liberamente cio che 'l tuo dir priega,
spirito incarcerato, ancor ti piaccia
di dirne come l'anima si lega
in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
s'alcuna mai di tai membra si spiega>>.
Allor soffio il tronco forte, e poi
si converti quel vento in cotal voce:
<<Brievemente sara risposto a voi.
Quando si parte l'anima feroce
dal corpo ond' ella stessa s'e disvelta,
Minos la manda a la settima foce.
Cade in la selva, e non l'e parte scelta;
ma la dove fortuna la balestra,
quivi germoglia come gran di spelta.
Surge in vermena e in pianta silvestra:
l'Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
fanno dolore, e al dolor fenestra.
Come l'altre verrem per nostre spoglie,
ma non pero ch'alcuna sen rivesta,
che non e giusto aver cio ch'om si toglie.