Guardate
che 'l venir su non vi noi>>.
Dante - La Divina Commedia
Poi mi parea che, poi rotata un poco,
terribil come folgor discendesse,
e me rapisse suso infino al foco.
Ivi parea che ella e io ardesse;
e si lo 'ncendio imaginato cosse,
che convenne che 'l sonno si rompesse.
Non altrimenti Achille si riscosse,
li occhi svegliati rivolgendo in giro
e non sappiendo la dove si fosse,
quando la madre da Chiron a Schiro
trafuggo lui dormendo in le sue braccia,
la onde poi li Greci il dipartiro;
che mi scoss' io, si come da la faccia
mi fuggi 'l sonno, e diventa' ismorto,
come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia.
Dallato m'era solo il mio conforto,
e 'l sole er' alto gia piu che due ore,
e 'l viso m'era a la marina torto.
<<Non aver tema>>, disse il mio segnore;
<<fatti sicur, che noi semo a buon punto;
non stringer, ma rallarga ogne vigore.
Tu se' omai al purgatorio giunto:
vedi la il balzo che 'l chiude dintorno;
vedi l'entrata la 've par digiunto.
Dianzi, ne l'alba che procede al giorno,
quando l'anima tua dentro dormia,
sovra li fiori ond' e la giu addorno
venne una donna, e disse: "I' son Lucia;
lasciatemi pigliar costui che dorme;
si l'agevolero per la sua via".
Sordel rimase e l'altre genti forme;
ella ti tolse, e come 'l di fu chiaro,
sen venne suso; e io per le sue orme.
Qui ti poso, ma pria mi dimostraro
li occhi suoi belli quella intrata aperta;
poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro>>.
A guisa d'uom che 'n dubbio si raccerta
e che muta in conforto sua paura,
poi che la verita li e discoperta,
mi cambia' io; e come sanza cura
vide me 'l duca mio, su per lo balzo
si mosse, e io di rietro inver' l'altura.
Lettor, tu vedi ben com' io innalzo
la mia matera, e pero con piu arte
non ti maravigliar s'io la rincalzo.
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte
che la dove pareami prima rotto,
pur come un fesso che muro diparte,
vidi una porta, e tre gradi di sotto
per gire ad essa, di color diversi,
e un portier ch'ancor non facea motto.
E come l'occhio piu e piu v'apersi,
vidil seder sovra 'l grado sovrano,
tal ne la faccia ch'io non lo soffersi;
e una spada nuda avea in mano,
che reflettea i raggi si ver' noi,
ch'io drizzava spesso il viso in vano.
<<Dite costinci: che volete voi? >>,
comincio elli a dire, <<ov' e la scorta?
Guardate che 'l venir su non vi noi>>.
<<Donna del ciel, di queste cose accorta>>,
rispuose 'l mio maestro a lui, <<pur dianzi
ne disse: "Andate la: quivi e la porta">>.
<<Ed ella i passi vostri in bene avanzi>>,
ricomincio il cortese portinaio:
<<Venite dunque a' nostri gradi innanzi>>.
La ne venimmo; e lo scaglion primaio
bianco marmo era si pulito e terso,
ch'io mi specchiai in esso qual io paio.
Era il secondo tinto piu che perso,
d'una petrina ruvida e arsiccia,
crepata per lo lungo e per traverso.
Lo terzo, che di sopra s'ammassiccia,
porfido mi parea, si fiammeggiante
come sangue che fuor di vena spiccia.
Sovra questo tenea ambo le piante
l'angel di Dio sedendo in su la soglia
che mi sembiava pietra di diamante.
Per li tre gradi su di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: <<Chiedi
umilemente che 'l serrame scioglia>>.
Divoto mi gittai a' santi piedi;
misericordia chiesi e ch'el m'aprisse,
ma tre volte nel petto pria mi diedi.
Sette P ne la fronte mi descrisse
col punton de la spada, e <<Fa che lavi,
quando se' dentro, queste piaghe>> disse.
Cenere, o terra che secca si cavi,
d'un color fora col suo vestimento;
e di sotto da quel trasse due chiavi.
L'una era d'oro e l'altra era d'argento;
pria con la bianca e poscia con la gialla
fece a la porta si, ch'i' fu' contento.
<<Quandunque l'una d'este chiavi falla,
che non si volga dritta per la toppa>>,
diss' elli a noi, <<non s'apre questa calla.
Piu cara e l'una; ma l'altra vuol troppa
d'arte e d'ingegno avanti che diserri,
perch' ella e quella che 'l nodo digroppa.
Da Pier le tegno; e dissemi ch'i' erri
anzi ad aprir ch'a tenerla serrata,
pur che la gente a' piedi mi s'atterri>>.
Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: <<Intrate; ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'n dietro si guata>>.