Ed ecco
piangere
e cantar s'udie
'Labia mea, Domine' per modo
tal, che diletto e doglia parturie.
'Labia mea, Domine' per modo
tal, che diletto e doglia parturie.
Dante - La Divina Commedia
Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deifile e Argia,
e Ismene si trista come fue.
Vedeisi quella che mostro Langia;
evvi la figlia di Tiresia, e Teti,
e con le suore sue Deidamia>>.
Tacevansi ambedue gia li poeti,
di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti;
e gia le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in su l'ardente corno,
quando il mio duca: <<Io credo ch'a lo stremo
le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo>>.
Cosi l'usanza fu li nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
per l'assentir di quell' anima degna.
Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
ch'a poetar mi davano intelletto.
Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni;
e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, cosi quello in giuso,
cred' io, perche persona su non vada.
Dal lato onde 'l cammin nostro era chiuso,
cadea de l'alta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso.
Li due poeti a l'alber s'appressaro;
e una voce per entro le fronde
grido: <<Di questo cibo avrete caro>>.
Poi disse: <<Piu pensava Maria onde
fosser le nozze orrevoli e intere,
ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde.
E le Romane antiche, per lor bere,
contente furon d'acqua; e Daniello
dispregio cibo e acquisto savere.
Lo secol primo, quant' oro fu bello,
fe savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello.
Mele e locuste furon le vivande
che nodriro il Batista nel diserto;
per ch'elli e glorioso e tanto grande
quanto per lo Vangelio v'e aperto>>.
Purgatorio ? Canto XXIII
Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava io si come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde,
lo piu che padre mi dicea: <<Figliuole,
vienne oramai, che 'l tempo che n'e imposto
piu utilmente compartir si vuole>>.
Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sie,
che l'andar mi facean di nullo costo.
Ed ecco piangere e cantar s'udie
'Labia mea, Domine' per modo
tal, che diletto e doglia parturie.
<<O dolce padre, che e quel ch'i' odo? >>,
comincia' io; ed elli: <<Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo>>.
Si come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno,
cosi di retro a noi, piu tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d'anime turba tacita e devota.
Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema
che da l'ossa la pelle s'informava.
Non credo che cosi a buccia strema
Erisittone fosse fatto secco,
per digiunar, quando piu n'ebbe tema.
Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco
la gente che perde Ierusalemme,
quando Maria nel figlio die di becco! '
Parean l'occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge 'omo'
ben avria quivi conosciuta l'emme.
Chi crederebbe che l'odor d'un pomo
si governasse, generando brama,
e quel d'un'acqua, non sappiendo como?
Gia era in ammirar che si li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama,
ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi un'ombra e guardo fiso;
poi grido forte: <<Qual grazia m'e questa? >>.
Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
cio che l'aspetto in se avea conquiso.
Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese.
<<Deh, non contendere a l'asciutta scabbia
che mi scolora>>, pregava, <<la pelle,
ne a difetto di carne ch'io abbia;
ma dimmi il ver di te, di chi son quelle
due anime che la ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle! >>.
<<La faccia tua, ch'io lagrimai gia morta,
mi da di pianger mo non minor doglia>>,
rispuos' io lui, <<veggendola si torta.