Quindi m'apparve il temperar di Giove
tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
Dante - La Divina Commedia
Ma, per salirla, mo nessun diparte
da terra i piedi, e la regola mia
rimasa e per danno de le carte.
Le mura che solieno esser badia
fatte sono spelonche, e le cocolle
sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto
che fa il cor de' monaci si folle;
che quantunque la Chiesa guarda, tutto
e de la gente che per Dio dimanda;
non di parenti ne d'altro piu brutto.
La carne d'i mortali e tanto blanda,
che giu non basta buon cominciamento
dal nascer de la quercia al far la ghianda.
Pier comincio sanz' oro e sanz' argento,
e io con orazione e con digiuno,
e Francesco umilmente il suo convento;
e se guardi 'l principio di ciascuno,
poscia riguardi la dov' e trascorso,
tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Iordan volto retrorso
piu fu, e 'l mar fuggir, quando Dio volse,
mirabile a veder che qui 'l soccorso>>.
Cosi mi disse, e indi si raccolse
al suo collegio, e 'l collegio si strinse;
poi, come turbo, in su tutto s'avvolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
con un sol cenno su per quella scala,
si sua virtu la mia natura vinse;
ne mai qua giu dove si monta e cala
naturalmente, fu si ratto moto
ch'agguagliar si potesse a la mia ala.
S'io torni mai, lettore, a quel divoto
triunfo per lo quale io piango spesso
le mie peccata e 'l petto mi percuoto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quant' io vidi 'l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtu, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e s'ascondeva vosco
quelli ch'e padre d'ogne mortal vita,
quand' io senti' di prima l'aere tosco;
e poi, quando mi fu grazia largita
d'entrar ne l'alta rota che vi gira,
la vostra region mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
l'anima mia, per acquistar virtute
al passo forte che a se la tira.
<<Tu se' si presso a l'ultima salute>>,
comincio Beatrice, <<che tu dei
aver le luci tue chiare e acute;
e pero, prima che tu piu t'inlei,
rimira in giu, e vedi quanto mondo
sotto li piedi gia esser ti fei;
si che 'l tuo cor, quantunque puo, giocondo
s'appresenti a la turba triunfante
che lieta vien per questo etera tondo>>.
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l'ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell' ombra che mi fu cagione
per che gia la credetti rara e densa.
L'aspetto del tuo nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com' si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.
Quindi m'apparve il temperar di Giove
tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom' io con li etterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
Paradiso ? Canto XXIII
Come l'augello, intra l'amate fronde,
posato al nido de' suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde,
che, per veder li aspetti disiati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati,
previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
fiso guardando pur che l'alba nasca;
cosi la donna mia stava eretta
e attenta, rivolta inver' la plaga
sotto la quale il sol mostra men fretta:
si che, veggendola io sospesa e vaga,
fecimi qual e quei che disiando
altro vorria, e sperando s'appaga.
Ma poco fu tra uno e altro quando,
del mio attender, dico, e del vedere
lo ciel venir piu e piu rischiarando;
e Beatrice disse: <<Ecco le schiere
del triunfo di Cristo e tutto 'l frutto
ricolto del girar di queste spere! >>.
Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto,
e li occhi avea di letizia si pieni,
che passarmen convien sanza costrutto.
Quale ne' plenilunii sereni
Trivia ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni,
vid' i' sopra migliaia di lucerne
un sol che tutte quante l'accendea,
come fa 'l nostro le viste superne;
e per la viva luce trasparea
la lucente sustanza tanto chiara
nel viso mio, che non la sostenea.
Oh Beatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse: <<Quel che ti sobranza
e virtu da cui nulla si ripara.
Quivi e la sapienza e la possanza
ch'apri le strade tra 'l cielo e la terra,
onde fu gia si lunga disianza>>.
Come foco di nube si diserra
per dilatarsi si che non vi cape,
e fuor di sua natura in giu s'atterra,
la mente mia cosi, tra quelle dape
fatta piu grande, di se stessa uscio,
e che si fesse rimembrar non sape.
<<Apri li occhi e riguarda qual son io;
tu hai vedute cose, che possente
se' fatto a sostener lo riso mio>>.
Io era come quei che si risente
di visione oblita e che s'ingegna
indarno di ridurlasi a la mente,
quand' io udi' questa proferta, degna
di tanto grato, che mai non si stingue
del libro che 'l preterito rassegna.
Se mo sonasser tutte quelle lingue
che Polimnia con le suore fero
del latte lor dolcissimo piu pingue,
per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero;
e cosi, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova suo cammin riciso.
Ma chi pensasse il ponderoso tema
e l'omero mortal che se ne carca,
nol biasmerebbe se sott' esso trema:
non e pareggio da picciola barca
quel che fendendo va l'ardita prora,
ne da nocchier ch'a se medesmo parca.