Non
isperate
mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
Dante - La Divina Commedia
Caccianli i ciel per non esser men belli,
ne lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli>>.
E io: <<Maestro, che e tanto greve
a lor che lamentar li fa si forte? >>.
Rispuose: <<Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita e tanto bassa,
che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa>>.
E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d'ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venia si lunga tratta
di gente, ch'i' non averei creduto
che morte tanta n'avesse disfatta.
Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d'i cattivi,
a Dio spiacenti e a' nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch'eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d'un gran fiume;
per ch'io dissi: <<Maestro, or mi concedi
ch'i' sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer si pronte,
com' i' discerno per lo fioco lume>>.
Ed elli a me: <<Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d'Acheronte>>.
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: <<Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
E tu che se' costi, anima viva,
partiti da cotesti che son morti>>.
Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
disse: <<Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
piu lieve legno convien che ti porti>>.
E 'l duca lui: <<Caron, non ti crucciare:
vuolsi cosi cola dove si puote
cio che si vuole, e piu non dimandare>>.
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell' anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch'attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d'Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
Cosi sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di la discese,
anche di qua nuova schiera s'auna.
<<Figliuol mio>>, disse 'l maestro cortese,
<<quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,
che la divina giustizia li sprona,
si che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e pero, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona>>.
Finito questo, la buia campagna
tremo si forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che baleno una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l'uom cui sonno piglia.
Inferno ?