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gratia Dei, sicut tibi cui
bis unquam celi ianua reclusa?
bis unquam celi ianua reclusa?
Dante - La Divina Commedia
E non er' anco del mio petto essausto
l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi
esso litare stato accetto e fausto;
che con tanto lucore e tanto robbi
m'apparvero splendor dentro a due raggi,
ch'io dissi: <<O Elios che si li addobbi! >>.
Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra ' poli del mondo
Galassia si, che fa dubbiar ben saggi;
si costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo 'ngegno;
che quella croce lampeggiava Cristo,
si ch'io non so trovare essempro degno;
ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scusera di quel ch'io lasso,
vedendo in quell' albor balenar Cristo.
Di corno in corno e tra la cima e 'l basso
si movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
cosi si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie d'i corpi, lunghe e corte,
moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l'ombra che, per sua difesa,
la gente con ingegno e arte acquista.
E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non e intesa,
cosi da' lumi che li m'apparinno
s'accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l'inno.
Ben m'accors' io ch'elli era d'alte lode,
pero ch'a me venia <<Resurgi>> e <<Vinci>>
come a colui che non intende e ode.
Io m'innamorava tanto quinci,
che 'nfino a li non fu alcuna cosa
che mi legasse con si dolci vinci.
Forse la mia parola par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli,
ne' quai mirando mio disio ha posa;
ma chi s'avvede che i vivi suggelli
d'ogne bellezza piu fanno piu suso,
e ch'io non m'era li rivolto a quelli,
escusar puommi di quel ch'io m'accuso
per escusarmi, e vedermi dir vero:
che 'l piacer santo non e qui dischiuso,
perche si fa, montando, piu sincero.
Paradiso ? Canto XV
Benigna volontade in che si liqua
sempre l'amor che drittamente spira,
come cupidita fa ne la iniqua,
silenzio puose a quella dolce lira,
e fece quietar le sante corde
che la destra del cielo allenta e tira.
Come saranno a' giusti preghi sorde
quelle sustanze che, per darmi voglia
ch'io le pregassi, a tacer fur concorde?
Bene e che sanza termine si doglia
chi, per amor di cosa che non duri
etternalmente, quello amor si spoglia.
Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or subito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond' e' s'accende
nulla sen perde, ed esso dura poco:
tale dal corno che 'n destro si stende
a pie di quella croce corse un astro
de la costellazion che li resplende;
ne si parti la gemma dal suo nastro,
ma per la lista radial trascorse,
che parve foco dietro ad alabastro.
Si pia l'ombra d'Anchise si porse,
se fede merta nostra maggior musa,
quando in Eliso del figlio s'accorse.
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bis unquam celi ianua reclusa? >>.
Cosi quel lume: ond' io m'attesi a lui;
poscia rivolsi a la mia donna il viso,
e quinci e quindi stupefatto fui;
che dentro a li occhi suoi ardeva un riso
tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo
de la mia gloria e del mio paradiso.
Indi, a udire e a veder giocondo,
giunse lo spirto al suo principio cose,
ch'io non lo 'ntesi, si parlo profondo;
ne per elezion mi si nascose,
ma per necessita, che 'l suo concetto
al segno d'i mortal si soprapuose.
E quando l'arco de l'ardente affetto
fu si sfogato, che 'l parlar discese
inver' lo segno del nostro intelletto,
la prima cosa che per me s'intese,
<<Benedetto sia tu>>, fu, <<trino e uno,
che nel mio seme se' tanto cortese! >>.
E segui: <<Grato e lontano digiuno,
tratto leggendo del magno volume
du' non si muta mai bianco ne bruno,
solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
in ch'io ti parlo, merce di colei
ch'a l'alto volo ti vesti le piume.
Tu credi che a me tuo pensier mei
da quel ch'e primo, cosi come raia
da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei;
e pero ch'io mi sia e perch' io paia
piu gaudioso a te, non mi domandi,
che alcun altro in questa turba gaia.
Tu credi 'l vero; che i minori e ' grandi
di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi;
ma perche 'l sacro amore in che io veglio
con perpetua vista e che m'asseta
di dolce disiar, s'adempia meglio,
la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volonta, suoni 'l disio,
a che la mia risposta e gia decreta! >>.
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno
che fece crescer l'ali al voler mio.
Poi cominciai cosi: <<L'affetto e 'l senno,
come la prima equalita v'apparse,
d'un peso per ciascun di voi si fenno,
pero che 'l sol che v'allumo e arse,
col caldo e con la luce e si iguali,
che tutte simiglianze sono scarse.
Ma voglia e argomento ne' mortali,
per la cagion ch'a voi e manifesta,
diversamente son pennuti in ali;
ond' io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e pero non ringrazio
se non col core a la paterna festa.
Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia preziosa ingemmi,
perche mi facci del tuo nome sazio>>.
<<O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radice>>:
cotal principio, rispondendo, femmi.
Poscia mi disse: <<Quel da cui si dice
tua cognazione e che cent' anni e piue
girato ha 'l monte in la prima cornice,
mio figlio fu e tuo bisavol fue:
ben si convien che la lunga fatica
tu li raccorci con l'opere tue.