guarda qua giuso a la nostra
procella!
Dante - La Divina Commedia
La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza
non si smarriva, ma tutto prendeva
il quanto e 'l quale di quella allegrezza.
Presso e lontano, li, ne pon ne leva:
che dove Dio sanza mezzo governa,
la legge natural nulla rileva.
Nel giallo de la rosa sempiterna,
che si digrada e dilata e redole
odor di lode al sol che sempre verna,
qual e colui che tace e dicer vole,
mi trasse Beatrice, e disse: <<Mira
quanto e 'l convento de le bianche stole!
Vedi nostra citta quant' ella gira;
vedi li nostri scanni si ripieni,
che poca gente piu ci si disira.
E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
per la corona che gia v'e su posta,
prima che tu a queste nozze ceni,
sedera l'alma, che fia giu agosta,
de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia
verra in prima ch'ella sia disposta.
La cieca cupidigia che v'ammalia
simili fatti v'ha al fantolino
che muor per fame e caccia via la balia.
E fia prefetto nel foro divino
allora tal, che palese e coverto
non andera con lui per un cammino.
Ma poco poi sara da Dio sofferto
nel santo officio; ch'el sara detruso
la dove Simon mago e per suo merto,
e fara quel d'Alagna intrar piu giuso>>.
Paradiso ? Canto XXXI
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa;
ma l'altra, che volando vede e canta
la gloria di colui che la 'nnamora
e la bonta che la fece cotanta,
si come schiera d'ape che s'infiora
una fiata e una si ritorna
la dove suo laboro s'insapora,
nel gran fior discendeva che s'addorna
di tante foglie, e quindi risaliva
la dove 'l suo amor sempre soggiorna.
Le facce tutte avean di fiamma viva
e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco,
che nulla neve a quel termine arriva.
Quando scendean nel fior, di banco in banco
porgevan de la pace e de l'ardore
ch'elli acquistavan ventilando il fianco.
Ne l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore
di tanta moltitudine volante
impediva la vista e lo splendore:
che la luce divina e penetrante
per l'universo secondo ch'e degno,
si che nulla le puote essere ostante.
Questo sicuro e gaudioso regno,
frequente in gente antica e in novella,
viso e amore avea tutto ad un segno.
O trina luce che 'n unica stella
scintillando a lor vista, si li appaga!
guarda qua giuso a la nostra procella!
Se i barbari, venendo da tal plaga
che ciascun giorno d'Elice si cuopra,
rotante col suo figlio ond' ella e vaga,
veggendo Roma e l'ardua sua opra,
stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali ando di sopra;
io, che al divino da l'umano,
a l'etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano,
di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e 'l gaudio mi facea
libito non udire e starmi muto.
E quasi peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando,
e spera gia ridir com' ello stea,
su per la viva luce passeggiando,
menava io li occhi per li gradi,
mo su, mo giu e mo recirculando.
Vedea visi a carita suadi,
d'altrui lume fregiati e di suo riso,
e atti ornati di tutte onestadi.
La forma general di paradiso
gia tutta mio sguardo avea compresa,
in nulla parte ancor fermato fiso;
e volgeami con voglia riaccesa
per domandar la mia donna di cose
di che la mente mia era sospesa.
Uno intendea, e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti gloriose.
Diffuso era per li occhi e per le gene
di benigna letizia, in atto pio
quale a tenero padre si convene.
E <<Ov' e ella? >>, subito diss' io.
Ond' elli: <<A terminar lo tuo disiro
mosse Beatrice me del loco mio;
e se riguardi su nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai
nel trono che suoi merti le sortiro>>.
Sanza risponder, li occhi su levai,
e vidi lei che si facea corona
reflettendo da se li etterni rai.
Da quella region che piu su tona
occhio mortale alcun tanto non dista,
qualunque in mare piu giu s'abbandona,
quanto li da Beatrice la mia vista;
ma nulla mi facea, che sua effige
non discendea a me per mezzo mista.
<<O donna in cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,
di tante cose quant' i' ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.
Tu m'hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt' i modi
che di cio fare avei la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
si che l'anima mia, che fatt' hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi>>.