Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora
per trecento anni e oltre, infino al fine
che i tre a' tre pugnar per lui ancora.
per trecento anni e oltre, infino al fine
che i tre a' tre pugnar per lui ancora.
Dante - La Divina Commedia
E si come ciascuno a noi venia,
vedeasi l'ombra piena di letizia
nel folgor chiaro che di lei uscia.
Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia
non procedesse, come tu avresti
di piu savere angosciosa carizia;
e per te vederai come da questi
m'era in disio d'udir lor condizioni,
si come a li occhi mi fur manifesti.
<<O bene nato a cui veder li troni
del triunfo etternal concede grazia
prima che la milizia s'abbandoni,
del lume che per tutto il ciel si spazia
noi semo accesi; e pero, se disii
di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia>>.
Cosi da un di quelli spirti pii
detto mi fu; e da Beatrice: <<Di, di
sicuramente, e credi come a dii>>.
<<Io veggio ben si come tu t'annidi
nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
perch' e' corusca si come tu ridi;
ma non so chi tu se', ne perche aggi,
anima degna, il grado de la spera
che si vela a' mortai con altrui raggi>>.
Questo diss' io diritto a la lumera
che pria m'avea parlato; ond' ella fessi
lucente piu assai di quel ch'ell' era.
Si come il sol che si cela elli stessi
per troppa luce, come 'l caldo ha rose
le temperanze d'i vapori spessi,
per piu letizia si mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa;
e cosi chiusa chiusa mi rispuose
nel modo che 'l seguente canto canta.
Paradiso ? Canto VI
<<Poscia che Costantin l'aquila volse
contr' al corso del ciel, ch'ella seguio
dietro a l'antico che Lavina tolse,
cento e cent' anni e piu l'uccel di Dio
ne lo stremo d'Europa si ritenne,
vicino a' monti de' quai prima uscio;
e sotto l'ombra de le sacre penne
governo 'l mondo li di mano in mano,
e, si cangiando, in su la mia pervenne.
Cesare fui e son Iustiniano,
che, per voler del primo amor ch'i' sento,
d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano.
E prima ch'io a l'ovra fossi attento,
una natura in Cristo esser, non piue,
credea, e di tal fede era contento;
ma 'l benedetto Agapito, che fue
sommo pastore, a la fede sincera
mi dirizzo con le parole sue.
Io li credetti; e cio che 'n sua fede era,
vegg' io or chiaro si, come tu vedi
ogni contradizione e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
a Dio per grazia piacque di spirarmi
l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi;
e al mio Belisar commendai l'armi,
cui la destra del ciel fu si congiunta,
che segno fu ch'i' dovessi posarmi.
Or qui a la question prima s'appunta
la mia risposta; ma sua condizione
mi stringe a seguitare alcuna giunta,
perche tu veggi con quanta ragione
si move contr' al sacrosanto segno
e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone.
Vedi quanta virtu l'ha fatto degno
di reverenza; e comincio da l'ora
che Pallante mori per darli regno.
Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora
per trecento anni e oltre, infino al fine
che i tre a' tre pugnar per lui ancora.
E sai ch'el fe dal mal de le Sabine
al dolor di Lucrezia in sette regi,
vincendo intorno le genti vicine.
Sai quel ch'el fe portato da li egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
incontro a li altri principi e collegi;
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi
ebber la fama che volontier mirro.
Esso atterro l'orgoglio de li Arabi
che di retro ad Anibale passaro
l'alpestre rocce, Po, di che tu labi.
Sott' esso giovanetti triunfaro
Scipione e Pompeo; e a quel colle
sotto 'l qual tu nascesti parve amaro.
Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle
redur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il tolle.
E quel che fe da Varo infino a Reno,
Isara vide ed Era e vide Senna
e ogne valle onde Rodano e pieno.
Quel che fe poi ch'elli usci di Ravenna
e salto Rubicon, fu di tal volo,
che nol seguiteria lingua ne penna.
Inver' la Spagna rivolse lo stuolo,
poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse
si ch'al Nil caldo si senti del duolo.
Antandro e Simeonta, onde si mosse,
rivide e la dov' Ettore si cuba;
e mal per Tolomeo poscia si scosse.
Da indi scese folgorando a Iuba;
onde si volse nel vostro occidente,
ove sentia la pompeana tuba.
Di quel che fe col baiulo seguente,
Bruto con Cassio ne l'inferno latra,
e Modena e Perugia fu dolente.
Piangene ancor la trista Cleopatra,
che, fuggendoli innanzi, dal colubro
la morte prese subitana e atra.
Con costui corse infino al lito rubro;
con costui puose il mondo in tanta pace,
che fu serrato a Giano il suo delubro.
Ma cio che 'l segno che parlar mi face
fatto avea prima e poi era fatturo
per lo regno mortal ch'a lui soggiace,
diventa in apparenza poco e scuro,
se in mano al terzo Cesare si mira
con occhio chiaro e con affetto puro;
che la viva giustizia che mi spira,
li concedette, in mano a quel ch'i' dico,
gloria di far vendetta a la sua ira.
Or qui t'ammira in cio ch'io ti replico:
poscia con Tito a far vendetta corse
de la vendetta del peccato antico.