Canto IV
Ruppemi l'alto sonno ne la testa
un greve truono, si ch'io mi riscossi
come persona ch'e per forza desta;
e l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov' io fossi.
Ruppemi l'alto sonno ne la testa
un greve truono, si ch'io mi riscossi
come persona ch'e per forza desta;
e l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov' io fossi.
Dante - La Divina Commedia
E tu che se' costi, anima viva,
partiti da cotesti che son morti>>.
Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
disse: <<Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
piu lieve legno convien che ti porti>>.
E 'l duca lui: <<Caron, non ti crucciare:
vuolsi cosi cola dove si puote
cio che si vuole, e piu non dimandare>>.
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell' anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch'attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d'Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
Cosi sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di la discese,
anche di qua nuova schiera s'auna.
<<Figliuol mio>>, disse 'l maestro cortese,
<<quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,
che la divina giustizia li sprona,
si che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e pero, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona>>.
Finito questo, la buia campagna
tremo si forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che baleno una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l'uom cui sonno piglia.
Inferno ?
Canto IV
Ruppemi l'alto sonno ne la testa
un greve truono, si ch'io mi riscossi
come persona ch'e per forza desta;
e l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov' io fossi.
Vero e che 'n su la proda mi trovai
de la valle d'abisso dolorosa
che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.
<<Or discendiam qua giu nel cieco mondo>>,
comincio il poeta tutto smorto.
<<Io saro primo, e tu sarai secondo>>.
E io, che del color mi fui accorto,
dissi: <<Come verro, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto? >>.
Ed elli a me: <<L'angoscia de le genti
che son qua giu, nel viso mi dipigne
quella pieta che tu per tema senti.
Andiam, che la via lunga ne sospigne>>.
Cosi si mise e cosi mi fe intrare
nel primo cerchio che l'abisso cigne.
Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri
che l'aura etterna facevan tremare;
cio avvenia di duol sanza martiri,
ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
d'infanti e di femmine e di viri.
Lo buon maestro a me: <<Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo' che sappi, innanzi che piu andi,
ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
non basta, perche non ebber battesmo,
ch'e porta de la fede che tu credi;
e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi
che sanza speme vivemo in disio>>.
Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
pero che gente di molto valore
conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.
<<Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore>>,
comincia' io per voler esser certo
di quella fede che vince ogne errore:
<<uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?