Sanz' esso fora la
vergogna
meno.
Dante - La Divina Commedia
E io: <<Segnore, andiamo a maggior fretta,
che gia non m'affatico come dianzi,
e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta>>.
<<Noi anderem con questo giorno innanzi>>,
rispuose, <<quanto piu potremo omai;
ma 'l fatto e d'altra forma che non stanzi.
Prima che sie la su, tornar vedrai
colui che gia si cuopre de la costa,
si che ' suoi raggi tu romper non fai.
Ma vedi la un'anima che, posta
sola soletta, inverso noi riguarda:
quella ne 'nsegnera la via piu tosta>>.
Venimmo a lei: o anima lombarda,
come ti stavi altera e disdegnosa
e nel mover de li occhi onesta e tarda!
Ella non ci dicea alcuna cosa,
ma lasciavane gir, solo sguardando
a guisa di leon quando si posa.
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
che ne mostrasse la miglior salita;
e quella non rispuose al suo dimando,
ma di nostro paese e de la vita
ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava
<<Mantua . . . >>, e l'ombra, tutta in se romita,
surse ver' lui del loco ove pria stava,
dicendo: <<O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra! >>; e l'un l'altro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu cosi presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perche ti racconciasse il freno
Iustiniano, se la sella e vota?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi cio che Dio ti nota,
guarda come esta fiera e fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
O Alberto tedesco ch'abbandoni
costei ch'e fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costa distretti,
che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color gia tristi, e questi con sospetti!
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com' e oscura!
Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e di e notte chiama:
<<Cesare mio, perche non m'accompagne? >>.
Vieni a veder la gente quanto s'ama!
e se nulla di noi pieta ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama.
E se licito m'e, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O e preparazion che ne l'abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l'accorger nostro scisso?
Che le citta d'Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
merce del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l'arco;
ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: <<I' mi sobbarco!