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vagliami
'l lungo studio e 'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Dante - La Divina Commedia
Temp' era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n su con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
si ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non si che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test' alta e con rabbiosa fame,
si che parea che l'aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fe gia viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch'uscia di sua vista,
ch'io perdei la speranza de l'altezza.
E qual e quei che volontieri acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
mi ripigneva la dove 'l sol tace.
Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
<<Miserere di me>>, gridai a lui,
<<qual che tu sii, od ombra od omo certo! >>.
Rispuosemi: <<Non omo, omo gia fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patria ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
nel tempo de li dei falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia,
poi che 'l superbo Ilion fu combusto.
Ma tu perche ritorni a tanta noia?
perche non sali il dilettoso monte
ch'e principio e cagion di tutta gioia? >>.
<<Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar si largo fiume? >>,
rispuos' io lui con vergognosa fronte.
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che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu' io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi>>.
<<A te convien tenere altro viaggio>>,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
<<se vuo' campar d'esto loco selvaggio;
che questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;
e ha natura si malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo 'l pasto ha piu fame che pria.
Molti son li animali a cui s'ammoglia,
e piu saranno ancora, infin che 'l veltro
verra, che la fara morir con doglia.
Questi non cibera terra ne peltro,
ma sapienza, amore e virtute,
e sua nazion sara tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui mori la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccera per ogne villa,
fin che l'avra rimessa ne lo 'nferno,
la onde 'nvidia prima dipartilla.
Ond' io per lo tuo me' penso e discerno
che tu mi segui, e io saro tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch'a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perche speran di venire
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a cio piu di me degna:
con lei ti lascero nel mio partire;
che quello imperador che la su regna,
perch' i' fu' ribellante a la sua legge,
non vuol che 'n sua citta per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi e la sua citta e l'alto seggio:
oh felice colui cu' ivi elegge! >>.
E io a lui: <<Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
accio ch'io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni la dov' or dicesti,
si ch'io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti>>.
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
Inferno ? Canto II
Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno
m'apparecchiava a sostener la guerra
si del cammino e si de la pietate,
che ritrarra la mente che non erra.